mercoledì 16 settembre 2009

12. Gli americani

Gli Stati Uniti escono rafforzati da una guerra che non solo non ha causato danni al loro paese, ma ha impresso uno straordinario impulso alla sua produzione industriale e alle sue esportazioni. Il big business, il grande capitale americano, sorto all’inizio del secolo, negli anni Venti subisce un’ulteriore accelerazione e concentra immense risorse economiche nelle mani di poche famiglie, come i Rockefeller, i Mellon e i Ford, che ormai sono in grado di condizionare la politica, interna ed estera, e di piegarla ai propri interessi. È sotto il governo dei repubblicani, ritornati al potere nel 1921, che gli Stati Uniti si avviano a divenire la prima potenza industriale, commerciale e finanziaria del mondo, e ad assumere il ruolo di modello capitalistico per antonomasia, animato dai principi liberali e in netta antitesi con il modello socialista.
Tra i due mondi (capitalista e socialista), che tentano di prevalere l’uno sull’altro, si istaura un clima di tensione, se non di guerra, che miete molte vittime, fra le quali spiccano, per celebrità, due onesti cittadini, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, che devono subire la pena di morte nonostante sia nota la loro innocenza.

12.1. Il caso Sacco e Vanzetti
Sacco e Vanzetti sono due italiani di idee anarchiche che, agli inizi del XX secolo, emigrano negli Stati Uniti, dove trovano lavoro (l’uno fa il calzolaio, l’altro il pescivendolo), si sposano e hanno dei figli. Con l’accusa di omicidio a scopo di rapina, si celebra a loro carico un processo, che si presta ad essere interpretato come una campagna contro il pericolo anarchico e comunista e viene strumentalizzato di conseguenza. Si architetta, dunque, una gigantesca macchinazione organizzata dal giudice Thayer con la complicità della polizia, della giuria, dei testimoni, del ministero della giustizia e dei giornali, che si conclude con la condanna a morte degli imputati (1921). Gli appelli per la grazia, che provengono da tutto il mondo, specie dopo che un criminale ha confessato i nomi dei responsabili del misfatto, ottengono l’unico risultato di ritardare l’esecuzione: i due innocenti vengono ammazzati sulla sedia elettrica nel 1927. Possiamo considerarli due martiri della Ragion di Stato.

Nel 1924 agli “indiani” viene riconosciuta la cittadinanza americana, ma di fatto essi non godono della parità dei diritti. Quei pochi di essi, che sono rimasti in vita e che oggi vivono separati in apposite riserve, perseverano nel rifiutare i valori dei bianchi e continuano a sognare le verdi praterie di un tempo, quando erano i padroni del Nordamerica. Gli indiani chiedono invano il diritto di formare un popolo e invano sperano di ritornare a vivere secondo i propri costumi e in piena libertà.
L’ottimismo riposto in una crescita illimitata e nelle capacità autoregolative del libero mercato viene messo in discussione dalla crisi economica che colpisce l’America nel 1929. La crisi si prolunga e induce il presidente Roosevelt a rompere con la tradizione del laissez faire e a lanciare il cosiddetto New Deal, ossia una serie di misure governative, atte a ridurre la disoccupazione e sostenere l’economia, seguendo i suggerimenti dell’economista John Maynard Keynes. Il successo del New Deal dimostra che il mercato ha bisogno dell’intervento attivo dello Stato.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, gli americani, che rappresentano già la prima potenza industriale al mondo, non concepiscono alcuna forma di guerra che non sia difensiva e, siccome il conflitto mondiale appena esploso non sembra minacciarli, essi sono contrari a parteciparvi. Ciò però non impedisce loro di fornire armi alla Francia, alla Gran Bretagna e a tutti paesi nemici dell’Asse, compresa la Russia. Gli americani, infatti, sono profondamente attaccati ai loro principî democratici e si sentono affini a inglesi e francesi, piuttosto che a tedeschi e italiani, e questo è il loro modo di contrastare i regimi dittatoriali.. Un incontro fra il presidente americano Roosevelt e il premier inglese Churchill offre ai due personaggi l’occasione per esprimere il proprio punto di vista condiviso sulla politica internazionale. In pratica, essi riconoscono “il diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo sotto la quale vogliono vivere, e desiderano vedere restaurati i diritti sovrani e l’autonomia di coloro che ne sono stati privati con la forza”. In altri termini, auspicano un mondo dove ci si possa muovere liberamente e vivere in pace (Carta Atlantica, 14.8.1941).
È solo dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor che gli americani decidono di entrare in guerra, prima contro il Giappone (8.12.1941) e poi contro la Germania e l’Italia (11.12.1941). Solo adesso, infatti, Roosevelt può contare sul sostegno dell’opinione pubblica, anche se lui, personalmente, è convinto, da tempo, che un’eventuale disfatta della Gran Bretagna si ripercuoterebbe negativamente contro i principî ideologici liberal-democratici degli Stati Uniti e, indirettamente, contro i loro interessi economici e politici nel mondo. L’apparato industriale USA risponde con una massiccia e rapida conversione in senso militare e comincia a produrre aerei e navi da guerra, carri armati e cannoni, in così gran numero da consentire agli americani di incidere in modo determinante sull’esito della guerra. Dopo aver subito per sei mesi l’iniziativa giapponese, gli americani rispondono con la vittoria delle Midway (giugno 1942), ma la loro avanzata è rallentata dalla determinazione con cui si battono i giapponesi, i quali possono contare anche sulle azioni suicide dei kamikaze che, a bordo dei propri aerei, carichi di esplosivo, si lanciano contro le navi nemiche.
Consapevole del proprio valore in campo economico e tecnologico e in prospettiva degli imponderabili risvolti della guerra in corso, Roosevelt decide di realizzare quanto prima la bomba atomica e, a tal fine, approva uno stanziamento di 400 milioni di dollari, che dovrè finanziare il cosiddetto Progetto Manhattan (1942). Nel marzo 1943 vengono arruolati alcuni dei migliori scienziati del momento, Compton, Fermi e Lawrence, che, sotto la direzione del fisico J.B. Oppenheimer (1904-67), si riuniscono, insieme alle rispettive famiglie, a Los Alamos, una cittadina del New Mexico, dove conducono segretamente le loro ricerche, sotto la supervisione del generale Groves. Il 3.6.1945, quando il Progetto è quasi ultimato, alcuni scienziati ammoniscono il governo USA sui rischi dell’impiego bellico della bomba atomica e di una prevedibile corsa agli armamenti atomici, i cui esiti si preannunciano catastrofici. Essi, pertanto, suggeriscono di non usare l’ordigno contro il Giappone e di limitarsi ad un semplice uso dimostrativo (Rapporto Franck). Oppenheimer però si oppone e il Rapporto viene ritirato: il Progetto può continuare.
In vista dell’imminente disfatta della Germania, Roosevelt, insieme a Churchill e a Stalin, si riuniscono a Yalta, una cittadina ucraina sul Mar Nero (4-11 febbraio 1945), e stabiliscono, tra l’altro, che la Germania verrà divisa in quattro aree d’occupazione (una spetterà alla Francia). Rimane aperta la guerra USA-Giappone, che rischia di trascinarsi chissà per quanto tempo. Roosevelt, che non può contare ancora sulla bomba atomica, ritiene di doversi servire della Russia per avere ragione del Giappone e, quindi, si dichiara disposto, nonostante il parere contrario di Churchill, ad accordare generose concessioni a Stalin, a fronte dell’impegno sovietico di entrare in guerra contro il Giappone due-tre mesi dopo la capitolazione tedesca. In particolare, l’URSS riceverà tutti i territori perduti dopo la guerra col Giappone del 1904-5 e potrà partecipare all’amministrazione della ferrovia della Manciuria. Per il resto, Yalta non scende nel dettaglio dei singoli casi e si limita ad enunciare il principio, secondo il quale il nuovo assetto politico dovrà avvenire nel rispetto dei diritti sovrani dei popoli (ciò si tradurrà nel processo di decolonizzazione, che si avvia, per l’appunto, proprio nel 1945 e giungerà a conclusione a metà degli anni Settanta). A Yalta viene anche decisa la fondazione dell’ONU, che dovrà sostituire la Società delle nazioni con il compito di tutelate la stabilità dei nuovi equilibri politici.
Il 12.4.1945 esce di scena Roosevelt, stroncato da un’emorragia cerebrale, e gli succede il vicepresidente in carica, Harry Truman (1945-52), mentre la guerra contro il Giappone, che vede gli americani in netto vantaggio, è ancora in corso. Nella battaglia navale di Okinawa, il Giappone subisce una grave sconfitta e, in pratica, rimane senza flotta (aprile 1945), ma agli americani occorrono 25 giorni di durissimi scontri prima di conquistare l’isola di Okinawa (1-25 giugno 1945). Ora gli americani possono puntare direttamente sul Giappone. Sanno che i giapponesi sono esausti e stremati e non potranno resistere a lungo. Sanno anche che la Russia sta per entrare in guerra contro il Giappone e sono certi che, a quel punto, i giapponesi dovranno necessariamente arrendersi.
Dal 17 luglio al 2 agosto 1945, i tre grandi (Harry Truman ha preso il posto di Roosevelt) si riuniscono nuovamente a Potsdam, una città tedesca, dove precisano e completano i precedenti accordi di Yalta. L’URSS annette la Lituania, l’Estonia, la Lettonia, la Carelia, la Polonia e la Prussia orientali, insieme ad alcune regioni della Cecoslovacchia e della Romania, ed estende la sua egemonia anche in Ungheria, Bulgaria e Albania, con l’unica rilevante eccezione della repubblica federale Iugoslava di Tito, che si dissocia. In pratica, la Russia post-Yalta controlla i paesi dell’Europa centro-orientale, i cui governi vengono definiti “democrazie popolari” per distinguerli dalle democrazie borghesi occidentali, e rappresenta la maggiore potenza europea, in grado di competere ad un livello di parità con gli USA.
Proprio in quei giorni Truman viene informato che la bomba atomica è disponibile. Che fare? Truman, com’è comprensibile, vuole porre fine ad una guerra estenuante e alla morte dei propri soldati, ma sa che gli effetti della bomba atomica sono devastanti: gli esperti gli hanno spiegato che basta un solo ordigno nucleare per radere al suolo una città di medie dimensioni e per annientare la sua popolazione. Forse ricorda ancora l’ammonizione di Einstein che, qualche anno prima, aveva suggerito di fare esplodere la bomba atomica su un’isola deserta: ciò sarebbe bastato ad intimidire il nemico e indurlo alla resa. La cosa è fattibile, ma richiede una certa organizzazione e la massima pubblicità. Potrebbero occorrere settimane o qualcosa potrebbe non funzionare, col rischio di esporre gli americani ad una brutta figura. I giapponesi potrebbero rifiutarsi di credere che qualcuno possa essere tanto folle da lanciare un simile ordigno sopra un centro abitato.
Truman teme inoltre che le truppe sovietiche entrino a Tokyo prima degli americani: la Russia è già stata favorita a Yalta dalle concessioni di Roosevelt ed egli non può permettere che essa sia favorita ancora una volta. Perciò, alla fine, decide di assumersi la tremenda responsabilità: la bomba atomica va usata senza indugio e senza sconti. Essa dovrà colpire una città di medie dimensioni e il lancio dovrà essere eseguito in modo perfetto, al fine di dimostrare al mondo tutta la sua potenza distruttiva. Tokyo è troppo grande e una sola bomba non è sufficiente per raderla al suolo. Vanno bene città, che abbiano 200-300 mila abitanti, come Kyoto, Yokohama, Kokura, Niigata, Hiroshima e Nagasaki. Pochi giorni sono sufficienti per mettere a punto il piano di lancio e il 6 agosto tutto è pronto.
La prima bomba atomica della storia, o bomba A, è un ordigno all’uranio di 4 tonnellate e mezzo, all’uranio, di forma allungata, al quale si è voluto dare il nome scherzoso e gentile di little boy, “piccolo ragazzo”. Little boy viene caricato su una fortezza volante B-29, che decolla in direzione di Hiroshima, essendo preceduta da altri due aerei, che hanno la funzione di controllare se il cielo della città-bersaglio è sgombro di nubi (in caso contrario si sceglierebbe un’altra città), di riprendere l’esplosione e di usare strumenti per la rilevazione di informazioni scientifiche. Un appello a Truman di preannunciare di due giorni l’attacco atomico, in modo da risparmiare un gran numero di vite umane, cade nel vuoto e la popolazione, del tutto ignara di quanto sta per accaderle, è occupata nelle ordinarie faccende quotidiane, né si scompone più di tanto quando le sagome delle fortezze volanti fanno il loro ingresso nel cielo della città: sono ormai abituati alle incursioni aeree americane e quelle tre sagome potrebbero essere dei semplici aerei di ricognizione o dei bombardieri troppo lontani per colpire. Inoltre, volando ad un’altezza di oltre 9 mila metri, quegli aerei sono praticamente fuori dalla portata della contraerea, e così l’azione d’attacco può svolgersi in modo relativamente tranquillo e, secondo i programmi.
Quando little boy viene lanciato su Hiroshima, l’orologio segna le 8.15 e la gente si è da poco svegliata. Dopo una corsa di 51 secondi, la bomba, la cui potenza è di tredici kiloton (1 kiloton = mille tonnellate di tritolo), deflagra a 400 metri dal suolo e un immenso bagliore accecante avvolge la città, gran parte della quale viene letteralmente rasa al suolo e diviene, a causa dell’elevatissima temperatura, una sorta di gigantesco forno crematorio. Si stima che circa 100 mila persone vengono dissolte dal calore: sono ritenute le più fortunate, quelle che muoiono senza soffrire, senza nemmeno accorgersene. Altrettante persone moriranno, più o meno lentamente, a seguito delle ustioni o a causa delle radiazioni, dopo aver affrontato sofferenze di vario grado.
Per qualche giorno la situazione a Hiroshima è tale da impedire l’intervento dei soccorsi e forse non ci si rende pienamente conto di quanto è successo. Le autorità nipponiche hanno bisogno di un minimo di tempo per valutare la situazione e prendere decisioni. Ma Truman non aspetta e decide di lanciare una seconda bomba atomica, questa volta al plutonio, che è ancora più potente della prima e alla quale, a causa del suo aspetto panciuto, viene dato il poco grazioso nomignolo di fat man, “uomo grasso”. Il 9.8.1945 l’URSS, come previsto, dichiara guerra al Giappone e ciò dovrebbe bastare per indurre quest’ultimo alla resa, ma, lo stesso giorno, fat man infuoca il cielo di Nagasaki. Benché l’ordigno sia più potente, tuttavia, a causa di una certa imprecisione nel lancio, dovuta anche ad eventi atmosferici avversi, il numero delle vittime è inferiore: 40 mila subito, 70 mila nel tempo. Il 14.8.1945 il Giappone chiede la pace.
Perché viene lanciata la seconda atomica? Certo, non per porre fine ad una guerra, che è già finita. La ragione è un’altra: gli Stati Uniti vogliono lanciare un chiaro segnale di forza per annunciare all’URSS e al mondo la fine del loro isolazionismo. È il ruggito del leone. Da questo momento, gli americani fanno il loro ingresso sul palcoscenico politico internazionale col ruolo di primadonna. Il duplice messaggio che, con little boy e fat man essi lanciano a tutti i paesi della terra, è del tipo: “Attenti! Solo noi possediamo armi di distruzioni di massa, di cui avete visto due esempi a Hiroshima e a Nagasaki. Le stesse armi possiamo usare contro ognuno di voi. Siamo noi i più forti!” E così è. Il fatto poi che gli USA siano i soli a possedere armi atomiche, li pone ad un livello superiore a tutto il resto del mondo e contribuisce a modificare profondamente gli equilibri politici mondiale e ad inaugurare una nuova era. Se dopo Yalta-Potsdam emergono due grandi potenze mondiali di pari livello, USA e URSS, dopo Hiroshima-Nagasaki c’è una sola superpotenza: gli USA.

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