mercoledì 16 settembre 2009

02. Gli italiani

Pur vittoriosa, l’Italia versa in condizioni negative, per diverse ragioni. A livello internazionale, essa non è considerata uno Stato forte e potente come molti, invece, pretenderebbero, essendo uscita vittoriosa dalla guerra. L’Italia è anche insoddisfatta perché ha sì ottenuto il Friuli-Venezia Giulia, il Trentino-Alto Adige e l’Istria, ma non la Dalmazia, né le isole, né le colonie, e non è la potenza egemone dell’Adriatico, come avrebbe desiderato. Altre note dolenti sono il forte indebitamento dello Stato e le precarie condizioni economiche della gente. Il malcontento popolare è elevato, i lavoratori chiedono aumenti e minacciano di occupare le fabbriche, gli imprenditori affermano di essere in crisi e di non essere in grado di soddisfare le richieste.
Ai reduci della guerra, ai quali sono state promesse terre, denaro e posti di lavoro, non viene dato nulla. Molte fabbriche, che durante la guerra avevano prodotto armi, ora che la guerra è finita, sono costrette a chiudere. Intanto la società appare profondamente cambiata a causa dell’ingresso delle donne nel mondo, in sostituzione di mariti e fratelli, che la guerra ha allontanato dalle loro abituali attività lavorative: anch’esse cominciano a lottare per i propri diritti. A difendere gli interessi della popolazione, all’indomani della guerra ci sono, inizialmente, solo due gruppi politici, i Liberali e i Socialisti, ma la situazione è propizia per l’ascesa di altri soggetti politici e, in effetti, tra il 1919 e il 1921, entrano in scena il Partito Popolare Italiano (cattolico), il Partito Comunista e il Movimento Fascista, il cui leader è Benito Mussolini. Chi è costui?
Originario di un’umile famiglia romagnola, Mussolini (1883-1945) è figlio di un fabbro ferraio e di una maestra di campagna. A 17 anni si iscrive al Partito socialista e a 18 consegue il diploma di maestro elementare e intraprende la carriera scolastica. Coerentemente con le sue idee rivoluzionarie, nel 1902 non si presenta alla leva, ma fugge in Svizzera, dove vive facendo il manovale e propagandando l’ideologia socialista. Espulso dalla Svizzera per la sua attività rivoluzionaria, approfitta di un’amnistia e rientra in Italia, dove presta il servizio di leva (1905-7). Nel 1909 si trasferisce a Trento, dove dirige la locale Camera del lavoro e un settimanale, quindi si stabilisce a Forlì, dove assume la direzione del PSI locale e del relativo organo settimanale, La lotta di classe. Intanto continua a svolgere la sua propaganda, alla quale dà un piglio anticlericale. Nel 1911 viene condannato a 5 mesi di prigione per aver manifestato contro la guerra colonialista di Libia. Nel 1912 si afferma come dirigente nazionale del PSI e dirige l’Avanti.
Nella sua attività di articolista emerge una chiara concezione antidemocratica e piramidale, che prevede una netta distinzione fra un vertice, che comanda e guida, e una base, che obbedisce e segue. Espulso dal PSI (1914), fonda un nuovo quotidiano, Il popolo d’Italia. Richiamato alle armi (1915), viene ferito gravemente (1917). Grazie a quell’esperienza, matura il convincimento che una nazione in armi rappresenti il miglior esempio di un popolo democratico, egualitario, fraterno e virtuoso. A guerra finita (marzo 1919) fonda i “Fasci di combattimento” e avvia una campagna nazionalista, che trova fertile terreno in un’Italia delusa dalla conferenza di Versailles e dalla perdita di prestigio internazionale.
Con la connivenza dell’esercito, dei carabinieri, delle magistrature e delle prefetture, le squadre fasciste, mentre apparentemente lottano per mantenere l’ordine nel paese, in realtà picchiano gli operai, bruciano le sedi dei sindacati e dei giornali di sinistra e reprimono ogni sorta di manifestazione contro la borghesia, gli industriali, i proprietari, i ricchi commercianti e il potere costituito. In pratica, esse sono schierate dalla parte dell’élite dominante e contro le masse popolari amorfe e i lavoratori dipendenti.
L’obiettivo dichiarato di Mussolini, che è quello di restaurare la grandezza dell’Italia, è apprezzato dal re, dalle gerarchie militari e dalla massoneria. Favorevoli al fascismo sono anche molti industriali, che pensano di servirsi del suo autoritarismo per ripristinare la disciplina nelle loro aziende e difendersi dalle rivendicazioni operaie; la chiesa, che vede in esso un sicuro baluardo contro la minaccia comunista, oltre che uno strumento di difesa dei propri interessi economici (ROSSI 1966); molti esponenti di ogni ceto sociale, che vedono in esso un apportatore di disciplina e di ordine in un paese afflitto dalla crisi sociale (DE FELICE 1975). Il consenso popolare verrà poi consolidato dalla propaganda del regime.

Elezioni del novembre 1919 (Partito / Seggi)
Psi / 156
Ppi / 100
Liberali di destra / 23
Liberali democratici (Giolitti) / 91
Radicali / 67
Repubblicani / 9
Socialriformisti (Bonomi) / 21
Combattenti / 33
Fascisti Seggi / 0

A partire dal 1920, mentre il Psi versa in gravi difficoltà e deve subire la scissione dell’ala sinistra guidata da Amedeo Bordiga, che fonda il “Partito comunista d’Italia”, Pcd’I (gennaio 1921), il fascismo avanza, anche grazie ai finanziamenti dei grandi industriali. Nelle elezioni del maggio 1921 Giolitti si allea con Mussolini formando i cosiddetti “blocchi nazionali”, che si affermano con 256 seggi, 35 dei quali vanno ai fascisti. Tuttavia, né Giolitti, né i suoi successori, Bonomi e Facta, riescono a dare stabilità politica al paese e si apre una crisi sociale e politica, che sembra inarrestabile e della quale sa ancora una volta approfittare Mussolini che, dopo aver fondato il Partito nazionale fascista, Pnf (novembre 1921), decide di marciare su Roma (27-29 ottobre 1922). Grazie all’atteggiamento complice di Vittorio Emanuele III (1900-46), egli non solo non viene fermato, ma ottiene anche l’incarico di formare il nuovo governo (30 ottobre 1922), proprio nello stesso anno in cui sale al soglio pontificio Pio XI (1922-39), il quale vede nel fascismo un baluardo nei confronti dell’”anarchia alla quale liberalismo e socialismo conducono”.
Il programma politico di Mussolini è finalizzato alla creazione di un esecutivo forte e coeso, e di uno Stato disciplinato, potente e autarchico. È in questa direzione che si muove una delle prime leggi varate dal nuovo governo, la quale stabilisce che il partito di maggioranza relativa con almeno il 25% dei voti, otterrà i 2/3 dei seggi in Parlamento. Grazie a questa legge, alle elezioni del 1924 i fascisti si vedono assegnati 372 seggi contro i 144 degli avversari. Il deputato socialista, Giacomo Matteotti, che protesta e denuncia brogli elettorali, viene ucciso. Il fatto turba gli italiani e, per qualche mese, Mussolini viene investito da un’ondata di riprovazione morale, l’opinione pubblica gli volta le spalle, i partiti d’opposizione invocano l’intervento del re per abbattere il fascismo. È un momento difficile per Mussolini. Il re però non si muove e il suo operato è condiviso dalla chiesa, la quale spinge il PPI a sostenere il governo e invita don Sturzo, ossia la personalità più in vista dell’antifascismo cattolico, a lasciare l’Italia (1924). Mussolini può così ristabilire la propria autorità e assumere il pieno controllo del paese, di cui diventa il “duce” indiscusso.
Il Duce non dimentica il suo debito di riconoscenza nei confronti del re, della chiesa e di tutti coloro che lo hanno appoggiato nella conquista del potere. Il re è ripagato dalla politica internazionale fascista, che vuole far giocare all’Italia il ruolo di grande potenza e mira a edificare un grande impero: nel 1935-6 Mussolini conquista l’Etiopia e, dopo aver chiesto invano l’approvazione di Francia e Inghilterra, si getta fra le braccia della Germania, con la quale costituisce l’Asse Roma-Berlino (1936); nello stesso tempo interviene nella guerra civile spagnola, aiutando il generale Franco a conquistare il potere (1936-39); nel 1939 invade l’Albania. Alla fine, Vittorio Emanuele III può fregiarsi del titolo d’imperatore d’Etiopia e di re di Albania. Può essere soddisfatto.
La classe imprenditoriale si vede ricompensata dalla condotta di governo, che è improntata sul protezionismo e sull’alleggerimento delle imposte, e che li fa partecipi del potere politico, anche attraverso l’elargizione di cariche governative, ma, soprattutto, perché tiene a bada i movimenti operai d’ispirazione marxista. A favore del papa va lo stanziamento di fondi per le chiese, l’aumento dello stipendio al clero, il salvataggio del Banco di Roma, che tanto sta a cuore al Vaticano, il riconoscimento dell’università cattolica di Milano e delle feste religiose, la collocazione del crocifisso nelle aule scolastiche e negli ospedali. Abbandonato al proprio destino dalla chiesa, il PPI verrà definitivamente sciolto nell’arco di pochi anni (1926). Un’analoga sorte toccherà agli altri partiti politici, che però continueranno ad operare nei limiti del possibile.
Mussolini non si limita a saldare il debito di riconoscenza nei confronti di quanto lo hanno appoggiato nella scalata al potere, ma si fa anche promotore di una serie impressionante di riforme e iniziative sociali in grado di cambiare l’aspetto del paese e di imprimergli una forte caratterizzazione: realizza una riforma scolastica, ad opera di Giovanni Gentile (1923), che, in parte, è in vigore ancora oggi; promulga un nuovo Codice penale, ad opera del giurista Alfredo Rocco (1931); promuove alcune opere pubbliche e sociali, come la bonifica di zone paludose, la costruzione di strade, acquedotti e nuove linee ferroviarie; dà impulso allo sport attraverso l’istituzione del Coni; favorisce l’agricoltura e la crescita della popolazione; salva dal rischio di chiusura le industrie militari. Grazie a questa politica, l’Italia può conoscere un boom economico (1922-26) e può superare indenne la crisi mondiale del 1929-33.
Ma tutto ciò è finalizzato non tanto al bene della popolazione quanto all’esaltazione del sistema fascista e della persona del duce, come dimostrano le seguenti misure antidemocratiche adottate dal governo: abolizione del regime parlamentare, in modo tale che il Parlamento sia formato solo da rappresentanti del partito fascista, completamente sottomessi alla volontà del duce; scioglimento dei sindacati; abolizione di ogni forma di libertà e creazione di un regime di polizia, allo scopo di tenere sotto controllo la vita pubblica e privata dei cittadini. Per Mussolini conta solo lo Stato, non l’individuo. C’è uno slogan a proposito, che riassume bene la situazione: “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”.
Il pontefice spera ancora nel recupero del potere temporale della chiesa e si adopera di conseguenza, ma, alla fine si rende conto che i tempi sono cambiati ed è impossibile tornare indietro, perciò desiste definitivamente dalle sue anacronistiche aspirazioni e si avvia ad una politica di sostegno al fascismo, che non verrà mai meno, anche in occasione delle guerre. I rapporti fra chiesa e fascismo sono così buoni da rendere possibili i Patti Lateranensi (11.2.29) che, di fatto, appianano la rottura, che si era prodotta nel 1870, e riconciliano Stato e Chiesa. I Patti riconoscono il cattolicesimo come la sola religione dello Stato e la città del Vaticano come Stato indipendente e sovrano, garantiscono benefici finanziari alla chiesa e concordano il versamento degli arretrati degli oltre tre milioni di lire previste dalla legge delle Guarentigie a titolo di risarcimento per la perdita dell’ex Stato pontificio, facendo così del Vaticano uno dei principali creditori dello Stato. Non solo: viene anche concessa l’esenzione del servizio militare ai religiosi, si introduce un regolare servizio religioso all’interno dell’apparato militare, si riconoscono tutti i giorni festivi previsti dalla religione cattolica, il matrimonio celebrato in chiesa acquista tutti gli effetti civili, viene introdotto l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole elementari e medie, e altro ancora. È tanta la soddisfazione della chiesa che Pio XI vede in Mussolini l’”uomo della provvidenza”, ma anche l’uomo che ha saputo arrestare l’ondata rivoluzionaria socialista.
Perché la chiesa appoggia il fascismo? Non è soltanto una questione di gratitudine, ma anche ideologica. Col fascismo la chiesa condivide il sostanziale disprezzo dell’uomo come essere libero e capace di autodeterminarsi e la convinzione che il cittadino abbia sempre bisogno di una guida e debba sempre obbedire all’autorità costituita. Del resto, i cattolici non sono chiamati a fare da sé, ma devono restare lontani dalla politica attiva e limitarsi a osservare le disposizioni che la Gerarchia vorrà di volta in volta impartire. È in questa luce che diventa comprensibile il fatto che, sotto il pontificato di Pio XI, vengono appoggiati dalla chiesa tutti i dittatori di destra: Mussolini in Italia, Franco in Spagna, Salazar in Portogallo, Horthy in Ungheria e persino Hitler in Germania. I loro regimi autoritari ben si sposano con la concezione retrograda di un papa, che vuole rilanciare l’idea medievale del primato del potere spirituale su quello temporale, della Chiesa sullo Stato, e ripropone il modello duale della società (Ubi arcano, 1922; Quas primas, 1925), già caldeggiato da Pio X, dove un popolo-gregge segue il capo-pastore, nel rispetto dei princìpi di gerarchia, ubbidienza e ordine. Non solo: in questo modo il papa punta a “costituire sul piano internazionale uno schieramento di paesi in grado di contrastare l’ondata comunista” (VERUCCI 1999: 56).
Il pensiero sociale di Pio XI parte dalla rivendicazione del ruolo assolutamente preminente della chiesa nella definizione dei valori sociali e nell’educazione del cittadino, e, in qualità di Pastore Supremo, sente il dovere di esprimere parole di condanna nei confronti dell’introduzione dell’educazione sessuale nella scuola e della coeducazione di maschi e femmine (Divini illius magistri, 1929), e ripropone il modello di famiglia, il cui fine è primariamente quello della procreazione e in cui la donna è relegata all’interno delle mura domestica col compito di prendersi cura della prole e di rimanere sottoposta e obbediente al marito (Casti connubii, 1930).
In campo economico-politico, Pio XI si dissocia tanto dal capitalismo, quanto dal socialismo, e, pur senza proporre un’alternativa chiara e concreta, si limita ad indicare una generica via di mezzo fra i due modelli, caratterizzata da un minor attaccamento alla proprietà privata, da una ridotta cupidigia e dal rigetto della volontà di predominio dell’uomo sull’uomo (Quadragesimo anno, 1931). Dura è invece la condanna del comunismo (Divini Redemptoris, 1937). L’unico fronte in cui i rapporti sono distesi è rappresentato dal fascismo.
Da parte sua, il fascismo gode di ottima salute, e tutto fila a pennello. “Dal Concordato con la chiesa cattolica nel 1929 alla conquista dell’Etiopia e alla proclamazione dell’impero nel maggio del 1936, sembra che Mussolini e il fascismo procedano di trionfo in trionfo” (VILLANI 1999: 440). Intanto sale al soglio pontificio Pio XII (marzo 1939-59), il quale ha una personalità autocratica: non vuole “collaboratori, ma solo esecutori”. Egli mostra subito di trovarsi in sintonia coi regimi totalitari e subito invia un telegramma con la sua benedizione al generale Franco (1 aprile 1939). Alla vigilia della guerra, nella convinzione che sia conveniente approfittare della forza tedesca per un’ampia affermazione dell’imperialismo italiano, Italia e Germania stringono il “Patto d’acciaio” (22.5.1939), col quale s’impegnano a sostenersi reciprocamente in caso di involontario coinvolgimento in un conflitto armato con altre Potenze.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, il duce gode del consenso della maggior parte degli italiani, che vedono in lui l’uomo che ha posto fine alle sterili lotte fra i partiti, ha portato l’ordine e la pace sociale, ha conciliato Stato e Chiesa, ha fatto dell’Italia un paese rispettato all’estero. Inizialmente Mussolini confessa a Hitler che l’Italia non è ancora pronta ad entrare in guerra (settembre 1939), e così è, sia perché essa non dispone di un esercito valido, a parte la marina, che è di buona qualità, sia perché l’opinione pubblica e lo stesso Vaticano sono contrari alla guerra. Ma è impensabile che una grande nazione possa rimanere eternamente neutrale senza correre il rischio di declassarsi e così Mussolini si sente in dovere di trovare al più presto una soluzione in grado di conciliare il suo desiderio di affermare il prestigio nazionale e la necessità di non esporre il paese ad uno sforzo che non è in grado di sostenere.
Alla fine riesce ad individuare un compromesso che lo soddisfa: egli interverrà solo al momento opportuno, quando cioè la vittoria tedesca sarà certa, ma non ancora definitiva e tale che l’intervento dell’Italia possa essere considerato ininfluente. Tale momento si presenta assai presto, e cioè dopo la travolgente avanzata della Wehrmacht, che in sole due settimane sbaraglia l’esercito francese, accreditato per essere uno dei più forti al mondo, e lascia facilmente prevedere un’imminente e definitiva vittoria dei tedeschi. È allora che Mussolini decide di entrare in guerra al loro fianco (10.6.1940), nonostante i consigli di prudenza degli esperti militari. Il re non si oppone: evidentemente, nemmeno lui è sfiorato dal dubbio di una possibile sconfitta.
In verità, il timore più diffuso è quello di non arrivare in tempo per spartire coi tedeschi i frutti della vittoria e lo stato d’animo generale e ben rappresentato da queste parole che il duce rivolge al generale Badoglio, che gli prospetta i rischi legati alla scarsa preparazione militare del paese: “La guerra finirà in fretta. Io ho solo bisogno di un certo numero di morti per sedere al tavolo della pace” (PETACCO 2002: 142). Purtroppo il conflitto si rivela più lungo del previsto e Mussolini, sentendosi in dovere di dimostrare il proprio valore, senza nemmeno consultare Hitler, prende l’iniziativa di attaccare proditoriamente la Grecia (28.10.1940), ritenendola un obiettivo abbordabile, ma anche questa campagna si conclude in un umiliante disastro, risolto solo grazie all’intervento della Werhmacht. Nemmeno nei Balcani e in Africa settentrionale l’Italia riesce a raccogliere successi significativi e, in ogni caso, essa dev’essere soccorsa dal più forte alleato. Ormai è chiaro che l’Italia non è in grado di condurre una guerra parallela e deve accontentarsi di svolgere un ruolo subalterno quello della Germania.
Nell’agosto 1943 gli Alleati occupano la Sicilia e puntano su Roma. Mussolini non può far altro che incitare la popolazione alla lotta, ma comincia a perdere consensi finché, dopo essere stato messo in minoranza dal Gran Consiglio del fascismo, viene fatto arrestare dal re e sostituito col maresciallo Badoglio (luglio 1943). Con questa manovra il re, avendo compreso che ormai la causa del fascismo è persa, intende prendere le distanze dal duce con l’intento di salvare il trono. Come dire: io con quello non c’entro. Ma è una spudorata menzogna e tutti lo sanno. Tutti sanno che il fascismo si è potuto affermare solo grazie al suo appoggio e molti chiedono la sua abdicazione. Intanto la situazione precipita e sia il re che Badoglio devono rifugiarsi al sud, dove intanto sono sbarcati gli Alleati (Salerno, 9.9.1943). In questa circostanza risalta la condotta meschina di Umberto di Savoia che, a 39 anni suonati, abbandona il suo popolo insieme alla moglie e ai quattro figli e fugge al seguito dei suoi genitori, come un bambino impaurito, pensando solo a salvare la sua pelle e il trono. Intanto si sviluppa la Resistenza ad opera delle forze antifasciste, che vogliono dare dell’Italia l’immagine di un paese “cobelligerante”.
Intanto Mussolini è liberato dai tedeschi (12.9.43), che lo manovrano come un fantoccio, e, infatti, pur desiderando ritirarsi dalla vita politica, egli viene indotto da Hitler ad assumere la direzione di un nuovo governo nell’Italia settentrionale, che prende il nome di Repubblica sociale italiana (RSI). Mentre si svolgono questi eventi, si costituisce clandestinamente la Democrazia cristiana (1943), un partito d’ispirazione cattolica, erede del Partito popolare, dal quale differisce perché si proclama laico, aconfessionale e autonomo dall’autorità ecclesiastica. Nella primavera del 1944 viene formato il primo governo di unità nazionale, la cui presidenza è assunta da Ivanoe Bonomi. A causa della strenua resistenza opposta dai tedeschi, gli Alleati possono entrare a Roma solo il 4.6.1944, mente a nord i tedeschi resistono fino alla primavera 1945, poi sono costretti a ritirarsi. Mentre tenta di fuggire, Mussolini viene arrestato dai partigiani e messo a morte (26.4.1945).
Vittorio Emanuele III, che pure era stato uno dei massimi responsabili della dittatura fascista, non manifesta alcuna intenzione di assumersi le proprie responsabilità e, per molti mesi, continua a resistere alla pressioni degli antifascisti, fra cui ci sono molti monarchici, che chiedono la sua abdicazione. Il re resiste finché può, ma il 9.5.46, un mese prima del referendum istituzionale, accetta di abdicare in favore di Umberto, che viene nominato Luogotenente del regno, e si ritira ad Alessandria d’Egitto.

02.1. I Savoia
Dopo il Congresso di Vienna (1815), dal quale si sono visti premiare al di là dei loro effettivi meriti, sì da poter restaurare il Regno di Sardegna, i Savoia appaiono determinati ad accrescere il proprio prestigio e il proprio potere, ma devono fare i conti con il dilagare dei sentimenti nazionalistici e con la domanda di democrazia liberale, che si incarna nella richiesta di una Costituzione da parte del popolo. Il re, Carlo Felice, è ovviamente contrario, perché ciò significherebbe meno potere per sé, e si affretta a revocare la Costituzione che il reggente Carlo Alberto ha maldestramente concessa. I Savoia, invece, vedono di buon occhio l’opportunità di condurre una guerra d’indipendenza contro l’Austria e contro i Borbone, con l’obiettivo finale di estendere il loro regno a tutta l’Italia. Dopo aver raggiunto lo scopo, Vittorio Emanuele II, con l’intento di guadagnare l’appoggio internazionale, specie di paesi come Inghilterra e Francia, decide di accettare lo Statuto albertino, che, comunque, tutto sommato, lascia al re poteri molto ampi.
Agli inizi del XX secolo inizia una nuova stagione politica, che è segnata dalla fine delle monarchie e dalla nascite delle repubbliche. Nel 1917 vengono abbattuti i Romanov, nel 1918 cadono gli Hohenzollern e gli Asburgo. Il re d’Italia, invece, tiene duro e, anzi, approfitta della politica aggressiva del fascismo per fregiarsi del titolo di imperatore d’Etiopia (1936) e quello di re d’Albania (1939). Fa di tutto per opporsi all’avvento della repubblica e della democrazia, ma alla fine deve soccombere e fuggire. “Dopo nove secoli di regno, la vicenda dei Savoia si esaurisce così, in una fuga che ha i contorni di una rotta e nella malinconia di un re troppo piccolo costretto a regnare in un’età troppo grande” (OLIVA 1999: 478).

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