mercoledì 16 settembre 2009

07. La Palestina e gli ebrei

Alla fine della prima guerra mondiale (1919), gli ebrei in Palestina ammontano a 58 mila unità, ossia l’otto per cento dell’intera popolazione, ed sono determinati a proseguire la sua politica sionista, anche a costo di usare la forza e, a tale scopo, istituiscono un’organizzazione militare, la cosiddetta Haganah (1920), che comincia ad operare clandestinamente, proprio mentre la Palestina passa sotto il mandato del Regno Unito. Gli ebrei sono ben inseriti nell’apparato amministrativo britannico e, abbandonate le vesti di minoranza malvista a maltrattata, cominciano a comportarsi come “futuri padroni della regione” (MORRIS 2001: 121). Ciò crea una certa apprensione presso gli arabi ed è all’origine dei primi scontri con gli ebrei (1920). Gli arabi devono anche fare i conti con una certa opinione inglese, che guarda con occhio benevolo al progetto sionista. Secondo Winston Churchill (1921), “è palesemente giusto che gli ebrei sparsi per il mondo abbiano un centro nazionale […], e quale potrebbe essere se non la Palestina […]?” (MORRIS 2001: 131). Nel 1921 i sionisti pensano ad un Grande Israele che comprenda il Sud del Libano e la Cisgiordania. Le preoccupazioni degli arabi sono dunque giustificate e giustificata è anche la prudenza con si muove il Regno Unito, mentre il numero degli ebrei raggiunge le 85 mila unità (1922).
In un Libro bianco (1922), gli inglesi precisano che l’aver promesso agli ebrei una nazione in Palestina non significa dar loro tutta la Palestina, quindi si impegnano a ostacolare il disegno sionistico e limitare l’immigrazione e l’acquisto di terre da parte degli ebrei (1930), ma senza successo, visto che, nel 1931, il numero degli ebrei sale a 171 mila. Né si scorgono prospettive di miglioramento, anzi la situazione tende a peggiorare, soprattutto dopo la promulgazione delle leggi antiebraiche da parte di Hitler (1933), che condannano gli ebrei (considerando come tale chiunque abbia almeno un nonno ebreo) all’isolamento civile e alla segregazione e li inducono a lasciare la Germania. Il flusso immigratorio registra dunque un’impennata e, in soli quattro anni, gli ebrei raddoppiano il loro numero, passando a 335 mila unità (1935) e sono sempre più fermamente intenzionati a portare avanti il loro programma sionistico. Gli arabi rispondono fondando il Partito arabo palestinese (1935), nel cui programma è compreso il proposito di impedire la nascita del focolare nazionale ebraico, e sollevandosi in rivolta contro gli inglesi (1936-1939). Anche gli ebrei hanno ragione per essere scontenti del comportamento degli inglesi, che ritengono colpevoli di porre dei freni all’immigrazione, e cominciano a colpirli con azioni terroristiche (1937-48), mentre intanto investono sugli armamenti e rinforzano l’esercito (1936-45).
Gli inglesi rispondono redigendo un nuovo Libro bianco (1939), in cui stabiliscono che: 1) entro 10 anni si dovrà creare uno Stato palestinese binazionale; 2) l’immigrazione ebrea sarà limitata a 15 mila persone per anno per un periodo di 5 anni; 3) dopo questa data, nessuna immigrazione potrà avvenire senza il consenso degli arabi. Gli ebrei si oppongono a questo disegno e rispondono in parte organizzando un’immigrazione clandestina, in parte insistendo in azioni terroristiche contro gli inglesi. Essi sono ormai 400 mila unità, ossia il 30% dell’intera popolazione palestinese.
Intanto scoppia la guerra (1939) e la situazione degli ebrei in Europa si fa sempre più difficile, e diventa tragica quando, dopo aver escluso la proposta di trapiantare tutti gli ebrei d’Europa in Madagascar, i dirigenti nazisti approvano il loro sterminio totale (conferenza di Wannsee del 20.1.42) ed ha così inizio quell’orribile massacro, che passerà alla storia col nome di “olocausto” (= sacrificio di un popolo a un dio) o, come preferiranno gli ebrei, shoah, un termine privo di significato religioso, che sta per catastrofe, distruzione. Ed è proprio la shoah che ha l’effetto di porre in secondo piano tutti i motivi che si opponevano alla creazione di uno Stato ebraico in Palestina e orientare favorevolmente in tal senso una parte dell’opinione pubblica internazionale. Intanto il flusso immigratorio non si arresta e, alla fine della guerra, il numero degli ebrei in Palestina raggiunge le 600 mila unità.

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