mercoledì 16 settembre 2009

01. Aspetti generali

Oltre a fare otto milioni di morti, la guerra lascia dietro di sé distruzioni, macerie, desolazione, depressione sociale ed economica, fabbriche chiuse, disoccupazione in aumento, a cui bisogna aggiungere il flagello della “spagnola” che, nel 1918-20, miete centinaia di migliaia di vittime. Particolarmente colpita è l’Europa, che, tuttavia, grazie ad un apparato industriale che, nonostante tutto, rimane ancora tra i migliori al mondo, riesce a superare rapidamente la crisi fino a recuperare, alla fine degli anni Venti, la sua egemonia mondiale.
A livello internazionale la prima guerra mondiale ha apportato cambiamenti così numerosi e profondi da incidere marcatamente sul quadro politico mondiale. Due grandi Imperi sono caduti, quello tedesco e quello ottomano, mentre la dinastia asburgica e l’autoritarismo zarista hanno concluso il loro ciclo storico. Al loro posto si affermano gli Stati-nazione e i sistemi democratico-rappresentativi, mentre irrompe sulla scena una voce nuova, quella del comunismo sovietico, che si pone come valida alternativa al capitalismo liberale dell’Occidente. È la prima volta che un conflitto europeo si conclude grazie all’intervento determinante di una potenza extra-europea, gli USA, e ciò comporta un ampliamento dell’orizzonte in cui si muove la storia: per la prima volta si avverte la necessità di una Società delle Nazioni.
Il conflitto ha modificato gli equilibri mondiali e, anche se l’Europa riesce a conservare la sua posizione di preminenza nel mondo, tuttavia, da questo momento, essa deve fare i conti proprio con gli USA che, insieme al Giappone, hanno incrementato la loro area d’influenza economica e finanziaria e rappresentano le potenze emergenti. I cambiamenti sociali ed economici sono talmente evidenti e rapidi da porre i paesi industrializzati ad un livello superiore rispetto al resto del mondo, soprattutto Africa ed Asia, creando condizioni che non consentono una competizione ad armi pari e favoriscono lo sfruttamento e l’emarginazione delle parti deboli.
Dal punto di vista socio-economico, all’indomani del conflitto mondiale, in una parte del mondo, che è poi la stessa che ha partecipato attivamente alla guerra, ci troviamo in piena terza rivoluzione industriale (1900-1970), che è caratterizzata da un continuo miglioramento nei trasporti, dalla diffusione di nuove tecnologie (elettricità, radio, telefono, automobile, aereo, elettrodomestici, cibi in scatola, abiti confezionati, cinema) e di tanti altri prodotti industriali, che alimentano il consumo di massa, aumentano la sensazione di benessere delle popolazioni e pongono in buona luce il sistema capitalistico, che è visto da molti come un sinonimo di ricchezza collettiva, un salto di qualità nei confronti della vecchia società contadino-feudale, un modello economico superiore e irresistibile. Altri però sono allarmati dalle ingiustizie sociali generate dal capitalismo, oltre che dallo sperpero di risorse e dall’eccessivo inquinamento ambientale generati dal consumismo, e perciò ritengono preferibile l’ideologia comunista.
Nella vita economica continua a trionfare il nazionalismo, ossia la tendenza a tutelare gli interessi nazionali, attraverso politiche protezionistiche (aumento delle tariffe doganali) e favorevoli alle esportazioni (svalutazione della moneta), il che può non favorire i buoni rapporti fra gli Stati e lascia presagire nuovi conflitti. La tendenza in Europa è quella di creare Stati sempre più forti e sicuri di sé, e cosa c’è di meglio in tal senso che affidarsi a regimi dittatoriali? Così avviene in Ungheria (1920), in Italia (1922), in Bulgaria e Spagna (1923), e poi, negli anni successivi, in Albania, Germania, Polonia, Portogallo, Lituania, Iugoslavia, Romania, Austria, Lettonia e Grecia, dove la propaganda di regime assicura alle rispettive popolazioni di trovarsi nel migliore paese possibile e al riparo da ogni pericolo, soprattutto dal pericolo comunista che viene dalla Russia.
Nel 1935 sono già ben individuabili tre principali blocchi politici antagonisti: da una parte le tre grandi potenze liberali, Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti, che esercitano un’influenza sulla maggior parte del mondo, dall’altra le tre potenze totalitarie, Germania, Italia e Giappone, che appaiono determinate a conquistare posizioni e ad insidiare la supremazia delle prime, e poi c’è il comunismo sovietico, che si propone come modello alternativo, ed è del tutto inviso e incompatibile con gli due blocchi.
Nel mondo degli intellettuali i favori vanno ai regimi forti, mentre i governi che concedono spazi alle masse vengono visti con diffidenza e denigrati. Così avviene che, tanto la dittatura del proletariato quanto la democrazia parlamentare sono fatti bersaglio da molti studiosi, come Barrès, Maurras, Keyserling, Spengler, Pareto e Mosca, i quali decantano la lunga tradizione elitaria e piramidale dello Stato. In un libro di grande successo, La ribellione delle masse, Ortega y Gasset vede nell’ascesa al potere da parte del popolo una vera e propria “invasione verticale dei barbari”, la causa fondamentale della profonda crisi che scuote la civiltà europea. Le ragioni di questa crisi sono eliminabili, secondo l’autore, solo con una coraggiosa restaurazione di vecchi schemi di vita sociale e di lotta politica: divisione fra élites e masse e ritorno ad una strutturazione rigidamente gerarchica della società. L’imperativo categorico è che le masse rimangano fedeli alla loro “biologica missione”, che è quella di obbedire alle minoranze eccellenti. Questo spirito è favorito anche dal darwinismo sociale e dalla diffusione del mito del superuomo sostenuto da Nietzsche.

Nessun commento:

Posta un commento